L’avv. Alessandro Marchese, associate dello Studio, commenta una interpello alla CGUE su una vicenda transnazionale avvenuta durante la pandemia. La Corte ha fatto chiarezza sulla differenza tra “malattia” e “confinamento” e sulle condizioni necessarie perché sorga il diritto all’indennizzo.
Protagonisti della vicenda due lavoratori, di nazionalità rispettivamente ungherese e slovena, che hanno dovuto rimanere a casa in isolamento dopo essere risultati positivi al Covid-19. L’azienda datrice di lavoro è situata in Austria, pertanto della loro positività al virus era stata informata l’autorità sanitaria austriaca. Tuttavia essi hanno ricevuto l’ordine di rispettare il confinamento dalle autorità dei Paesi di cui sono rispettivamente cittadini.
Poiché questa forzata assenza dal lavoro ha provocato ai due frontalieri un danno patrimoniale, essi si sono rivolti alle autorità giudiziarie austriache le quali a loro volta hanno interpellato la CGUE. Se la decisione di osservare il confinamento fosse stata fondata su un provvedimento amministrativo in applicazione della normativa interna austriaca, infatti, essa avrebbe fatto sorgere il diritto ad un indennizzo.
Purtroppo ai due lavoratori sono state negate prestazioni assistenziali risarcitorie a causa della loro situazione particolare. Da un lato la Corte ha chiarito che l’assenza per confinamento non è riconducibile a “malattia”, dall’altro la sorte di “triangolazione” che si è verificata li ha esclusi dalle tutele risarcitorie concesse al lavoratore quando cittadino del medesimo Paese in cui lavora.
L’avv. Alessandro Marchese commenta la sentenza per QuotidianoPiù, rivista online di Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A., in quanto fornisce chiarimenti interessanti su una materia particolare e poco conosciuta.
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